La menzogna legalitaria

Il sistema legalitario e securitario tende sempre a rinforzare, difendere e tutelare se stesso per sua stessa natura e tende a farlo sia in maniera esplicita e diretta che in maniera subdola ed indiretta.

Ultimamente si fa un gran parlare di sicurezza ed ordine pubblico innalzando a valori sacri ed inviolabili i concetti di legalità e decoro facendoli passare come elementi imprescindibili e fondanti ogni azione del vivere in società.

Così facendo si adotta uno di quei mezzi che ho sopra chiamato subdoli ed indiretti. Si cerca di insinuare nella mente del cittadino, dell’abitante, del “suddito” l’idea secondo la quale questi concetti rappresentino dei punti di partenza, delle basi dalle quali prendere il via, l’inizio di un ragionamento che si sviluppa a partire da essi.

L’errore, o per meglio dire l’inganno, però, si annida proprio in questa erronea premessa.

I concetti di controllo e di legalità non sono affatto, e non possono mai essere, delle premesse bensì dei punti di arrivo successivi all’instaurarsi di una forma societaria basata sulle leggi. È da questa società, imposta o condivisa, che si diramano poi le leggi che fanno da presupposto ai concetti di controllo e legalità. Non può esistere legalità senza leggi né controllo senza un controllore.

Il trucco consiste dunque nel dare questo concetto come scontato, mascherando la possibilità di risalire alla sorgente del potere rendendo quindi incontestabile lo scorrere di ciò che, a tutti gli effetti, è già un meccanismo avviato che non può che procedere in maniera unidirezionale.

È impossibile contrastare il concetto di legalità rimanendo all’interno della legalità stessa, è un ossimoro, una contraddizione ineliminabile. Elevando questo concetto di legalità a vincolo sacro è impossibile sottrarvisi e contestarlo senza violarlo e dunque senza incappare nella repressione e nella condanna.

Ma proprio per non cadere in questo tranello e restare inghiottiti da questa ineliminabile contraddizione che dobbiamo essere in grado di distruggere questa menzogna aprioristica dimostrando che non si tratti affatto di un assunto dal quale iniziare il ragionamento.

Bisogna risalire la corrente e contestare che è la legge, ed i poteri che la emanano, ad essersi arrogati il diritto e l’esclusivo privilegio di dettare l’indirizzo di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato tracciando una strada unidirezionale che, una volta imboccata non può essere modificata restando nell’alveo della legalità.

Solo rendendosi conto di ciò è possibile sottrarsi al giogo della sottomissione legalitaria che giustifica ogni forma di controllo e repressione in nome di una pace sociale e di una salvaguardia del potere costituito che rende di fatto impossibile ogni forma di reale contestazione, opposizione o anche semplice contrasto all’esistente.

Rifiutando di sottometterci al potere costituito, e alle sue emanazioni securitarie fin dal principio, rifiutando il menzognero “contratto sociale” di Rousseauniana memoria, rifiutando ogni forma di delega e di potere esterno alla nostra individualità rendiamo oltre modo evidente la banalità e la violenza oppressiva che si nasconde dietro un concetto di repressione avanzato come “la legalità”, spacciato, lo ripeto ancora una volta, come concetto assiomatico.